Il punto cruciale della sfida verso un nuovo umanesimo è descritto da Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas Est nei paragrafi 28 e 29, facendo sintesi del pensiero sociale della Chiesa dal Concilio Vaticano II ad oggi.
28. [...] a) Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri, come disse una volta Agostino: «Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?» [18]. [...] La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. ... Questo significa che la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare [il corsivo è nostro]. [...]
b) L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. [...]
L’affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell’uomo: il pregiudizio se- condo cui l’uomo vivrebbe «di solo pane» (Mt 4, 4; cfr Dt 8, 3) convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano.
Il punto di sfida è mettere in discussione il teorema che ha caratterizzato il passaggio culturale «da carità a giustizia». Spesso viene espresso così: «non dare per carità quello che va dato per giustizia». Sono entrambe affermazioni giuste e disegnano «storicamente», quindi parzialmente, il «compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare».